Fin dall’inizio dell’introduzione della chemioterapia nella cura dei tumori, si è osservato che il farmaco, chemioterapico, aveva una efficacia diversa da paziente a paziente seppur nell’ambito dello stesso tumore. Per anni non si è riusciti a spiegare questo fenomeno, perciò, il successo di una chemioterapia, si misurava su una probabilità che derivava dalla statistica, ovvero l’oncologo poteva dire che l’assunzione di un certo farmaco portava alla sconfitta del tumore in una certa percentuale dei casi e in un certo tempo. Tali dati erano sempre più accurati con l’accumularsi dell’esperienza ma ancora lontani dal poter dire con certezza che un farmaco poteva essere efficace.

Perché sto scrivendo al passato? Perché si è provato recentemente che anche i tumori si adattano e allora oltre ai farmaci chemioterapici si possono utilizzare dei farmaci monoclonali che appartengono alla classe delle terapie a bersaglio molecolare. Facciamo un esempio concreto: il colon-retto è uno dei cinque tumori più frequenti insieme a seno, polmone, prostata e vescica. Alla base dello sviluppo di questo tumore c’è un gene chiamato RAS. Se questo gene si trova nella forma non mutata i farmaci monoclonali sono efficaci, ad esempio cetuximab (Erbitux®) e panitumumab (Vectibix®). Tuttavia, i tumori non sono statici come pensavamo, sono dotati di una sorta di meccanismo di autodifesa che li porta a cambiare, in gergo biologico si chiama mutare o variare, in modo da assicurare la propria sopravvivenza. Perciò, il gene RAS mutato in uno o più punti (prenderà il nome di KRAS e NRAS), non è più sensibile alla terapia a bersaglio molecolare e quindi il tumore non regredisce. E’ questo il motivo per cui dopo un primo periodo di effetto positivo della terapia anti-tumorale si possono osservare dei casi in cui il tumore continua a progredire. Allora, il paziente ha solo gli effetti collaterali dei farmaci e il medico specialista deve cambiare terapia per poter contrastare l’avanzamento del tumore.

Se consideriamo che le mutazioni nel gene RAS si trovano nel 45% dei tumori del colon-retto metastatici, è evidente che un considerevole numero di pazienti non avrà effetti benefici dalla terapia con i farmaci monoclonali.

Ma come si diagnostica la resistenza ai farmaci da parte del tumore? Si deve eseguire una analisi molecolare che si effettua su una porzione di tessuto prelevata attraverso una biopsia. La biopsia normalmente si esegue prima di cominciare il ciclo chemioterapico, quindi la diagnosi verrà fatta sul tumore prima che venga aggredito dal farmaco e perciò potenzialmente potrebbe non avere ancora sviluppato le varianti che rendono inefficaci i farmaci monoclonali. Recentemente si è sviluppata una diagnostica chiamata biopsia liquida di cui potete leggere in una articolo già pubblicato su questo sito. Attraverso la biopsia liquida è possibile monitorare l’evoluzione del tumore e quindi sapere con maggiore certezza se il farmaco monoclonale è ancora efficace.

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