Un virus, una serie di azioni scomposte, i media che si sostituiscono agli esperti, gli esperti che hanno opinioni diverse e spesso in contrasto. Questa è la ricetta che ha portato l’Italia a superare la Cina come numero di vittime a causa del coronavirus.
Analizziamo la situazione italiana e vediamo cosa possono imparare le altre nazioni per combattere l’avanzata inarrestabile del Covid-19.
Solo un mese fa i casi di Covid-19 in Italia erano circa 300 e i decessi 7. Il 24 Marzo si contano oltre 69mila casi e 6820 morti. Nello stesso periodo di tempo (24 Febbraio – 24 Marzo), la Cina ha 3500 nuovi casi e circa 600 decessi.
Numeri impressionanti se paragonati con la popolazione delle due Nazioni.
Che cosa è mancato all’Italia per riuscire a essere efficace nella battaglia contro SARS-CoV-2?
E’ facile dirlo oggi facendo gli ‘storici’. Sarebbe stato meglio saperlo un mese fa per evitare di piangere tutte le persone, prevalentemente anziane ricordiamolo, che non ci sono più. Purtroppo si sa, l’arte delle previsioni è molto difficile e i pochi che la sanno esercitare a volte non sono neanche creduti.
E’ accaduto anche al ormai famosissimo Prof. Burioni che fin dall’inizio del diffondersi in Italia del coronavirus è stato ascoltato ma non creduto fino in fondo, grazie anche al parere spesso contrastante di suoi colleghi che definendo il Covid-19 “poco più di una influenza” hanno diluito la forza del messaggio di chi tentava di lanciare segnali di allarme come un naufrago in mezzo al mare.
Cosa non ha funzionato nelle misure messe in atto da governo e regoni?
La politica di contenimento non è stata abbastanza restrittiva e i messaggi dei politici contrastanti come quelli del Sindaco di Milano Beppe Sala che pubblicizzava la campagna “Milano non si ferma” e nello stesso momento il Presidente della Regione Lombardia Fontana che chiedeva al Governo misure più stringenti.
I messaggi tranquillizzanti, dati anche da tanti altri politici sicuramente in buona fede e con le migliori intenzioni, hanno spesso generato una falsa sicurezza legittimando gli Italiani a mantenere il loro normale comportamento e assecondandone la naturale inclinazione a “interpretare” le regole.
Ma soprattutto ciò che non ha funzionato, perché quasi neanche preso in considerazione è quella che gli esperti definiscono “sorveglianza attiva” molto ben applicata sia in Cina che in Sud Korea e che ha prodotto effetti ben evidenti. Per poterla applicare è necessario fare la diagnosi di positività con il famoso tampone.
Colgo l’occasione per chiarire che il tampone in se non diagnostica nulla, è solo un mezzo di prelievo del campione che poi viene analizzato con metodi di biologia molecolare.
Tornando alla diagnosi di positività, ovviamente si può partire da una persona ammalata e scoperto che la persona che dimostra sintomi influenzali è infetta da Covid-19, la si deve curare e mettere in isolamento ma non finisce qui. Perché quella stessa persona può aver trasmesso la SARS-CoV-2 a qualcun altro.
Questo è esattamente il punto in cui in Italia ci siamo fermati e che invece è stato decisamente portato avanti da Cina e Sud Korea. Queste due Nazioni hanno infatti identificato tutte le persone che erano state in contatto con il paziente positivo e le hanno sottoposte a diagnosi per Covid-19 identificando così anche i pazienti asintomatici che comunque possono trasmettere il virus, mettendoli in “sorveglianza attiva”.
Questa è stata la carta vincente nei confronti della diffusione del coronavirus, ISOLARLO. Queste misure avrebbero portato a un contenimento più efficace e soprattutto avrebbero avuto due altri importantissimi effetti: diminuire la pressione sul Servizio Sanitario e consentire il mantenimento dell’apertura delle fabbriche, in quest’ultimo caso ci sarebbero voluti anche dei dispositivi di sicurezza adeguati.
Il comune di Vo e la “sorveglianza attiva”
Ma non tutto il Nord Italia ha agito nello stesso modo. Il comune di Vo è stato il primo ad applicare la sorveglianza attiva, analizzando le persone con le quali il malato era entrato in contatto per individuare gli asintomatici che sono le persone che inconsapevolmente diffondono il virus.
E’ notizia di oggi, che la Regione Veneto ha disposto controlli con il tampone più estesi e anche nella stessa modalità della Sud Korea, ovvero controlli in auto, le persone entrano in una apposita aerea in auto e senza scendere gli viene fatto il tampone. I vantaggi sono la forte limitazione del contatto con altre persone e con l’ambiente ospedaliero e anche maggiore sicurezza per gli operatori sanitari.
I “nuovi eroi” medici e infermieri e il problema del Sud Italia
Tornando agli operatori sanitari, a detta loro, non gli sono stati forniti i sistemi di sicurezza necessari per non essere infettati.
Medici e infermieri entrano a contatto quotidianamente con decine di persone e quindi possono diffondere il virus in maniera esponenziale in breve tempo se non sono loro per primi protetti. In aggiunta, un operatore sanitario malato è di poco aiuto!
Ora l’Italia può ancora rimediare se continua ad esercitare le misure restrittive adottate e soprattutto se esercita la sorveglianza attiva nel Sud Italia dove l’onda dei contagi è attesa nelle prossime due settimane e dove la situazione degli Ospedali è meno favorevole rispetto alle regioni del Nord Italia. Diagnosticare, isolare e sorvegliare dovrebbero essere le parole d’ordine.
Cosa possono imparare le altre nazioni europee e mondiali?
A questo punto per il resto d’Europa ma anche per gli Stati Uniti non ci sono scuse. Hanno due esempi in cui le misure di contenimento hanno portato all’effetto sperato, Cina e Sud Korea e un caso in cui si poteva fare decisamente meglio.
Certo essere un Paese democratico come l’Italia, non aiuta a esercitare misure drastiche e impopolari. Ma non può essere una scusa quando si parla del benessere sanitario ed economico di una Nazione.
Infine una nota sui test diagnostici. Ormai sono decine le case produttrici di test diagnostici che hanno messo sul mercato test affidabili che individuano la presenza del virus e quindi l’infettività della persona e sono disponibili anche test che identificano la presenza di anticorpi, ovvero che la persona ha contratto il virus e che al momento del test è immunizzato, almeno nei confronti del ceppo di Covid-19 con il quale è venuto a contatto.
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