Nel nostro ultimo articolo abbiamo provato a spiegare come mai muoiano più uomini che donne di Coronavirus. Siccome abbiamo ricevuto molte domande, abbiamo voluto coinvolgere l’esperto genetista Stefano Duga, Professore Ordinario di Biologia Molecolare all’Università Humanitas di Milano, docente del corso MEDTEC di Milano e membro del Comitato Etico Indipendente dell’Istituto Clinico Humanitas.

Pochi giorni fa, il suo gruppo di ricerca ha pubblicato un articolo molto interessante su due geni, ACE2 e TMPRSS2, che potrebbero essere all’origine della differente suscettibilità tra uomini e donne all’infezione da SARS-CoV-2. Vediamo meglio di cosa si tratta.

Scopriamo insieme cosa il Prof. Duga e il suo laboratorio ci possono far conoscere sulla letalità del Covid-19 in questa bellissima intervista.

Prof. Duga, ci dica innanzi tutto di cosa si occupa il suo laboratorio.

Ci occupiamo di ricerca genetica in particolare sulle malattie complesse dell’uomo, dove è forte l’interazione tra fattori di predisposizione genetica e fattori ambientali. Più nello specifico ci occupiamo di malattie cardio vascolari, malattie neurodegenerative e anche di genetica oncologica con uno specifico interesse per il tumore alla prostata”.

Cosa ci può dire sul fatto che l’infezione da SARS-CoV-2 sia più grave negli uomini che le donne? Ci sono dei dati che lo confermano?

I dati a disposizione da parte dell’Istituto Superiore della Sanità ci dicono che il tasso di letalità di Covid-19 tra uomini e donne è molto diverso (dati da Epicentro al 30 Marzo 2020). E’ dipendente dalla fascia di età, ad esempio dai 50 ai 59 anni la letalità nei maschi è del 2,9% e nelle donne dello 0,9%. Poi sale molto con l’età e oltre gli 80 anni è del 34,1% nei maschi e del 21,2% nelle donne. Oltre i 90 anni la percentuale di letalità è ancora superiore nei maschi ma il numero totale di decessi è superiore nelle donne in quanto le donne in Italia vivono mediamente più a lungo.

Inoltre, in generale sono più gli uomini che si ammalano di Covid-19, in particolare dai 50 anni in su. Questo è un dato che è stato osservato in molte altre Nazioni. Oltre alla letalità maggiore nell’uomo rispetto alla donna, ci siamo interessati al fatto che il tasso di infezione e di letalità in generale è piuttosto alto in Italia rispetto ad altre Nazioni anche molto vicine a noi, sia geograficamente che come stile di vita”.

Quali sono i fattori, oltre al sesso, che possono giustificare la maggiore diffusione dell’infezione nella popolazione maschile?

Ci possono essere molti elementi che giustificano la differenza di infezione tra uomini e donne. Vorrei citare innanzi tutto la comorbidità, ovvero la presenza di più malattie e l’uomo è noto che è maggiormente soggetto a malattie cardiovascolari in tarda età. Il fumo è più diffuso negli uomini ma uno studio recente su una rivista specializzata ha un po’ ridotto la sua importanza nelle differenze tra uomini e donne, non certo la sua importanza in senso assoluto come fattore negativo.

Il sistema immunitario è certamente diverso nelle donne, in particolare durante la gravidanza in quanto durante questo periodo devono ridurre la risposta del proprio sistema immunitario nei confronti del feto e poi riattivarlo in seguito al parto”.

Lei e il suo gruppo di ricerca vi siete focalizzati sull’individuazione di possibili cause genetiche della maggiore gravità della malattia nella popolazione maschile. Come mai?

Noi siamo genetisti e quindi ci siamo focalizzati sulle possibili cause legate al sesso che dipendono dalla genetica e queste possono riguardare sia il fatto che alcuni geni sono sul cromosoma X, che ricordiamo essere presente in due copie nelle femmine e in una sola copia nei maschi, che al fatto che altri geni sono sotto il controllo degli ormoni sessuali. In quest’ultimo caso, due dei geni fondamentali per l’infezione, ACE2 e TMPRSS2, sono geni candidati a spiegare la differenza di infezione e letalità tra uomini e donne.

Partendo da ACE2, dobbiamo dire che questo gene produce un enzima che converte l’angiotensina 2 e il gene è localizzato sul cromosoma X. La cosa importante da sapere è che le proteine Spike di SARS-CoV-2, ovvero le proteine che si trovano sulla superficie del virus e che abbiamo imparato a conoscere dalle tante immagini che accompagnano le notizie su Covid-19, si legano al recettore ACE2 per entrare per entrare nelle cellule umane. Un po’ come se il virus utilizzasse le proteine Spike come chiave per far girare la serratura rappresentata da ACE2. Tuttavia, la chiave per girare ha bisogno di un “aiuto” e questo aiuto, che gli scienziati chiamano attivazione, gli è fornito da un’altra proteina, TMPRSS2 che è prodotta dall’omologo gene.

Parliamo ora del gene TMPRSS2. A differenza di ACE2 che si trova sul cromosoma X, il gene TMPRSS2 si trova su un altro cromosoma, però è controllato dagli ormoni sessuali maschili e in misura minore dagli ormoni sessuali femminili.

Controllato significa che i maschi esprimono più proteina TMPRSS2 rispetto alle femmine e potrebbero essere più soggetti all’infezione”.

Quindi riassumendo possiamo dire che il gene ACE2 è responsabile dell’attacco del virus con le proteine Spike alle proteine sulla membrana delle cellule del polmone e che l’altro gene, TMPRSS2, è responsabile dell’ingresso del virus e della conseguente infezione?

Proprio così. Inoltre, nell’uomo essendo il gene TMPRSS2 più attivo in quanto controllato dagli ormoni maschili, vuol dire che il virus troverà tante cellule nel polmone pronte a riceverlo e quindi infetterà in maniera più grave la persona provocando una polmonite più grave.

Confrontando i dati presenti nei database internazionali, abbiamo osservato che ci sono delle varianti geniche di TMPRSS2 collegate con i livelli di espressione del gene stesso che sono più frequenti nella popolazione italiana rispetto alla popolazione Cinese e anche ad altre popolazioni Europee. Di conseguenza, si può ipotizzare che la suscettibilità alla malattia e la sua severità siano fortemente influenzate dal livello di espressione di TMPRSS2 che ricordiamo essere controllato dagli ormoni sessuali maschili e da qui una possibile spiegazione per cui i maschi siano più suscettibili all’infezione da Covid-19”.

Ci possono essere altri geni che potrebbero essere coinvolti?

Ci sono una serie di geni sul cromosoma X che sono coinvolti nella risposta immunitaria e che potranno essere dei candidati importanti da studiare. Alcuni di questi sono già stati presi in considerazione nel caso della SARS e anche dell’influenza suina.

Abbiamo anche lanciato un progetto che si chiama Genius (GENetics AgaInst CoronavirUS) che ha l’obiettivo di studiare l’impatto della genetica sulle infezioni da coronavirus su larga scala e quindi raccogliendo molti pazienti. Questo è un progetto che abbraccerà vari centri di ricerca in Lombardia nell’ottica della collaborazione”.

Potrebbero esserci ulteriori approfondimenti?

Senz’altro, in quanto i dati che abbiamo pubblicato si riferiscono ad analisi biostatistiche che abbiamo effettuato su dati presenti nei database internazionali, quindi il nostro prossimo passo sarà quello di confermare questi dati facendo delle analisi su campioni prelevati da pazienti affetti da Covid-19. Il nostro obiettivo è di fare degli studi molto rigorosi utilizzando campioni della popolazione italiana sia come pazienti che come controlli. Infatti se si confrontano popolazioni diverse si possono trovare delle differenze che non dipendono necessariamente dalla malattia ma piuttosto dalla popolazione.

Inoltre, l’idea è di utilizzare approccio genetico per studiare a livello dell’intero genoma i fattori che possono interagire a modulare l’infezione e la gravità della malattia”.

Quali risultati porteranno? Come potranno essere utili questi studi?

Saranno utili per stratificare i pazienti in coloro che sono a maggiore o minore rischio di complicanze gravi. Ad esempio, nelle categorie più fragili come gli anziani, individuare quali di questi hanno fattori di rischio genetici potrebbe consentire di assisterli in maniera prioritaria e di monitorarli in maniera diversa.

Un’altra ricaduta importante è la possibilità di comprendere se farmaci già presenti sul mercato possono essere utili a contrastare l’infezione. Si sta già facendo ma avendo delle basi genetiche più solide sarebbe più semplice e utilizzare un farmaco che ha già superato i test clinici sull’uomo consentirebbe di risparmiare molti soldi per lo sviluppo del farmaco stesso e di essere più veloci nel mettere a disposizione una terapia”.

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