Biologia e Medicina sono in prima linea per la lotta contro il coronavirus. E anche la Fisica non è da meno, soprattutto parlando della disinfezione. Ma come?

Il SARS-CoV-2 ha amplificato il significato della parola “disinfezione”. Amuchina, alcool e mascherine sono diventate le nostre compagne più fidate. Proprio queste ultime hanno sollevato un problema del quale si parla molto meno ma con il quale, presto o tardi, dovremo fare i conti: lo smaltimento delle mascherine.

A oggi sono già state gettate nei rifiuti milioni di mascherine di vario tipo (qui per approfondimenti) e sappiamo bene che l’essere umano non è un modello da seguire, quando si parla di ecologia. Quanti milioni di mascherine saranno utilizzate nei prossimi mesi, forse anni? Il problema del loro smaltimento e del danno ecologico conseguente è un problema che dobbiamo porci da subito.

Disinfezione rapida tramite raggi UV

Una cosa che di solito gli scienziati fanno bene è collaborare tra loro. Non solo all’interno della stessa disciplina ma anche tra discipline diverse, scambiandosi opinioni e soprattutto provando a risolvere un problema con diversi approcci e tecnologie.

I ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) della sede di Brera si sono posti la domanda: “come possiamo disinfettare gli oggetti e l’aria dal coronavirus?”.

I ricercatori dell’INAF si occupano di meccanica, ottica, chimica, fisica ed elettronica per sostenere le indagini astronomiche. Non sono quindi esperti di virus ma sono esperti di raggi ultravioletti (UV) che hanno la capacità di uccidere i virus.

L’idea è quella di sviluppare dispositivi che rilascino radiazioni UV che possano disinfettare in brevissimo tempo, idealmente in maniera istantanea l’oggetto o anche l’aria che viene irraggiata.

Quali sono i dispositivi che sono in fase di studio?

Cominciamo con gli sterilizzatori che sanificano l’aria emessa dal paziente Covid-19. La maggior parte delle attuali mascherine posseggono un filtro che ferma le goccioline (droplet) di saliva o muco contenenti il virus. Il filtro ha una capacità limitata di trattenimento e quindi deve essere cambiato, nella maggior parte dei casi è l’intera mascherina che va gettata. La soluzione dei ricercatori di Brera si basa su un dispositivo permanente che si auto-disinfetta.

Si passa poi ai sistemi di disinfezione degli ambienti domestici, lavorativi o impianti di aerazione degli ospedali. Anche in questo caso si potrebbe utilizzare un dispositivo auto-disinfettante.

Per finire con i sanificatori di oggetti di uso comune, come smartphone, chiavi, denaro contante.

Si tratta quindi di soluzioni ecologiche in quanto riutilizzabili più volte e basate sui raggi UV che abbiamo imparato a modulare nella loro intensità per essere efficaci e non dannosi per l’uomo.

Raggi UV anche per le mascherine

Tornando alle mascherine, un utilizzo del dispositivo a raggi UV che i ricercatori di Brera stanno mettendo a punto, è quello di renderle riutilizzabili sterilizzandole e quindi allungandone la vita con evidente risparmio per chi le deve acquistare e una conseguente riduzione del rischio di rimanerne senza, riducendo inoltre l’impatto ambientale.

Poiché le mascherine chirurgiche ad esempio, hanno molte pieghe, il rischio è che i raggi UV sterilizzino solo una parte della mascherina. Una delle soluzioni che sono state prese in considerazione, è l’utilizzo dell’ozono che viene prodotto da certe lampade UV a lunghezze d’onda corte. Quindi, usando la stessa sorgente ma solamente modulando la lunghezza d’onda come se fosse una radiolina alla ricerca del segnale migliore, si potrebbero sterilizzare tutte le parti di un oggetto e quindi riutilizzarlo.

Non essendo esperti di virus e non potendoli manipolare, i ricercatori dell’INAF, collaborano con l’Ospedale Sacco di Milano che si occupa del trattamento di SARS-CoV-2 in ambiente protetto e controllato per capire le dosi di irraggiamento Uv per inattivare il virus (leggere qui per approfondimenti).

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