Sono stati etichettati come i nuovi eroi, i soldati in prima linea nel combattere questo virus misterioso venuto dall’oriente che ha cambiato le nostre vite e il mondo in cui viviamo. Infermieri, dottori, soccorritori e volontari: sono loro che con il loro lavoro, nonostante non vedano figli e parenti da settimane e spesso con turni massacranti, che stanno ridando speranza a un’Italia martoriata dal coronavirus (leggi qui per scoprirne mutazioni e diffusione).

Oggi abbiamo voluto condividere con voi l’esperienza diretta di un soccorritore che con l’ambulanza sta vivendo in prima persona la pandemia nelle zone rosse della Lombardia, con Bergamo, una delle zone piu colpite che sembra vedere un po’ di luce in fondo al tunnel (leggi qui). Ovviamente, come tutti gli eroi, ha preferito rimanere anonimo. Noi vi proponiamo questa intervista fatta dal nostro autore Federico Sebastiani (trovate l’audio completo a fondo pagina), che ci racconta le ultime settimane viste dagli occhi di chi sta “combattendo” per noi in prima linea. Non finiremo mai di ringraziarvi.

Alberto (nome di fantasia) raccontaci la tua vita da volontario soccorritore.

“Sono un soccorritore del 118, presto servizio di emergenza e urgenza da quattro anni e opero nella zona ovest di Brescia al confine con la provincia di Bergamo. Mi occupo anche di servizi programmati e di servizi sportivi. Generalmente faccio tre o quattro servizi al mese in emergenza-urgenza, e altrettanti servizi programmati che consistono nel trasporto di persone che devono recarsi a fare visite mediche, come per esempio emodialisi. Ultimamente anche alcuni dei nostri operatori sono rimasti colpiti dal Covid-19 e questo ha comportato un aumento dei miei interventi nell’ultimo mese”.

Com’è cambiata la tua vita da soccorritore con lo scoppio dell’epidemia?

“Parecchio. Intanto quasi tutti gli ultimi interventi che abbiamo effettuato sono su pazienti infetti da Covid-19.  Sono diminuiti molto gli interventi su pazienti traumatizzati. Quindi la tipologia dei nostri interventi è cambiata radicalmente, cosi come è cambiata completamente la mia vita, perché uscire su pazienti infettivi costantemente, mi ha portato a cambiare le mie abitudini, la mia vita privata, fino ad isolarmi dai miei familiari. Non vedo mio figlio dal 4 marzo per la sicurezza mia, sua, dei miei familiari e dell’equipaggio con cui lavoro”.

Prendendo in considerazione il periodo più intenso e difficile, com’era la situazione arrivando con l’ambulanza in ospedale?

“La situazione è cambiata moltissimo: noi come equipaggio dobbiamo spesso stare in attesa anche ore prima di poter scaricare il paziente con diverse ambulanze davanti a noi, tutti bardati e in sicurezza, in attesa del via libera. Il tempo d’attesa variava dalla mezz’ora fino ad arrivare anche a quattro ore. Abbiamo anche dovuto fare un turnover dell’equipaggio durante l’attesa, perché finiva un turno e ne cominciava un altro. Ovviamente dopo aver sanificato il mezzo perché anche l’equipaggio si doveva proteggere. Fortunatamente è successo in poche occasioni”.

Quali sono i sistemi di protezione che avete dovuto adottare rispetto alla “normalità’”?

“Anche in questo aspetto c’è stato un cambio radicale. Innanzitutto, c’è una disposizione ben precisa in Lombardia. Con un paziente infettivo da Covid-19 soltanto il capo equipaggio si va a bardare con dispositivi di protezione individuale e viene nominato referente AREU. Si comincia con guanti, camice protettivo, occhiali, visiera, calzari e mascherina FFP2 (scopri tipologie e modalità di protezione delle varie mascherine). Questo ha allungato anche i nostri tempi di partenza, infatti questa procedura di vestizione dura un paio di minuti. Solo il capo equipaggio entra a contatto con il paziente Covid-19, fa una prima valutazione e se è in grado di gestire la situazione da solo e il paziente è deambulante, fa tutto da solo: prende i parametri, chiama la centrale, comunica con la sala operativa regionale emergenza-urgenza, da cui riceve le indicazioni sull’ospedale di destinazione, poi carica da solo il paziente sul vano sanitario, in cui entrano solo loro due. Il soccorritore e l’autista, che indossano solo la mascherina facciale FFP2 e i guanti, stanno nel vano guida con lo sportello chiuso, anche per loro tutela. Questo è in breve il sistema di protezione AREU che è stato adottato”.

Poi comincia la decontaminazione: cosa succede e quali sono le procedure?

“A fine servizio, partendo dai guanti contaminati al camice, si toglie tutto per collocarlo nei contenitori appositi. Poi con l’aiuto dei soccorritori si va a igienizzare il mezzo con una soluzione alcolica. Questa operazione richiede 10-15 minuti, prima di dare il via libera per un’altra chiamata. Ovviamente non si può uscire se il mezzo è contaminato”.

Quali sono gli interventi che ricordi più intensamente in questo periodo?

“Bella domanda, e anche difficile. Un paio mi sono rimasti impressi in questi ultimi 40-45 giorni. Uno con esito positivo, perché vedere un ragazzo giovane di 35 anni cosi provato e dolorante in tutte le parti del corpo dopo una settimana di polmonite e febbre alta, nonostante avesse un fisico molto resistente, mi ha colpito veramente tanto. Si vedeva che soffriva tanto. La centrale operativa aveva proposto di continuare la terapia domiciliare, ma lui ha chiesto di essere portato all’ospedale perché non ce la faceva più. Fortunatamente ha avuto un esito positivo, ma rimane un episodio emblematico della situazione”.

Qual è stato invece l’episodio purtroppo con esito negativo?

“Siamo intervenuti su una persona di neanche 60 anni che ha avuto problemi respiratori che sono sfociati in un arresto respiratorio e cardiaco. La situazione è degenerata abbastanza rapidamente e, nonostante l’arrivo dei mezzi Avanzato 1 “infermierizzato” e Avanzato 2 (oltre al nostro mezzo base), quindi anche con un medico rianimatore, non siamo riusciti a riprenderlo. Purtroppo nonostante i tre mezzi, cinque persone bardate e quasi un’ora di massaggio cardiaco non siamo riusciti a riprendere il paziente e salvargli la vita”.

Com’è ora la situazione nella zona in cui operi, una delle “rosse” più colpite d’Italia?

“Sta migliorando sensibilmente e le nostre uscite sono diminuite. Sono reduce da due turni (sabato 18 e domenica 19 Aprile, ndr), e abbiamo fatto un intervento non-Covid codice verde. Giovedì scorso l’ultimo paziente affetto da Covid-19. E noto anche una notevole diminuzione di pressione sul pronto soccorso, minori tempi di attesa, praticamente nulli, e i pronto soccorso molto meno affollati. Diciamo un notevole miglioramento per fortuna”.

Che messaggio vuoi dare ai nostri lettori e a tutti gli italiani?

“Voglio dire di avere fiducia e tranquillità. Le strutture sono preparate, i pronto soccorso sono molto più liberi. Ci sono quasi in tutti gli ospedali due entrate separate per Covid e non-Covid per una maggiore sicurezza. Il personale è pronto e preparato e siamo tutti dotati degli strumenti necessari per rendere il miglior servizio possibile ai pazienti. Anche se la situazione sta migliorando, non molliamo, non abbassiamo la guardia e rispettiamo le disposizioni del Governo, sia per voi che anche per noi. Come dice il motto della nostra organizzazione “aiutateci ad aiutarvi”. E, di nuovo, abbiamo fiducia. Ce la faremo!”

Grazie ancora per tutto quello che state facendo!

Ecco l’audio originale dell’intervista:

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