SARS-CoV-2: un virus sconosciuto con alta contagiosità scambiato per una banale influenza che è in grado di scatenare nell’organismo umano uno tsunami di reazioni. Poche certezze e molte ipotesi. Ma soprattutto quali cure?
Curare efficacemente Covid-19, la malattia che si sviluppa in seguito all’infezione da coronavirus, si è rivelato fin da subito un compito difficile che ha portato in poco tempo al collasso tanti ospedali in tutto il mondo.
Il motivo risiede nel fatto che SARS-CoV-2 è un nuovo coronavirus e quindi non esistono farmaci o cure di nessun tipo già note e sperimentate. In questo scenario di incertezze, i medici e i ricercatori hanno tentato di utilizzare farmaci già utilizzati contro altri virus ma con risultati poco confortanti.
Quali sono le cure oggi disponibili?
Le possiamo dividere in cinque categorie. E’ importante sottolineare che gli studi sull’efficacia dei farmaci sono ancora in corso e vengono aggiornati sul sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Possiamo parlare di:
- Farmaci antivirali
- Plasma e anticorpi terapeutici
- Inibitori dell’infiammazione
- Anticoagulanti
- Terapie di supporto
Analizziamole una per una, cercando di capirne utilizzo, disponibilità ed efficacia.
Farmaci antivirali
Sono una categoria di farmaci che agiscono direttamente sul virus, impedendone la replicazione. Alcuni farmaci già utilizzati per il trattamento dell’HIV e che inibiscono la replicazione virale, vengono impiegati nell’ambito del piano nazionale della gestione dell’emergenza. In generale il loro utilizzo è diretto verso i pazienti Covid-19 con minore gravità e nelle fasi inziali della malattia.
Anche la clorochina e l’idrossiclorochina (nome commerciale del farmaco Plaquenil), hanno dimostrato una certa efficacia anche se studi condotti da gruppi di ricerca diversi, hanno portato a risultati di efficacia diversi. Clorochina e idrossiclorochina agiscono impedendo l’entrata del virus nella cellula e quindi prevenendo la replicazione e la diffusione di SARS-CoV-2. Attualmente l’utilizzo del Plaquenil è consigliato sia nei pazienti Covid-19 di minore gravità gestiti a domicilio che ospedalizzati come specifica l’AIFA.
Una nota particolare la merita il Remdesivir, il primo farmaco anti Covid-19 approvato dalla Federal Drug Adminstration (FDA). Questo farmaco impedisce la replicazione del virus e quindi la sua propagazione ad altre cellule del paziente. E’ stato provato su oltre mille malati e diminuisce del 30% il tempo necessario alla guarigione e riduce anche i decessi. Anche l’AIFA ha approvato l’utilizzo di Remdesivir in dieci centri specializzati distribuiti sul territorio italiano (leggi qui).
Plasma e anticorpi terapeutici
In seguito a un prelievo venoso da un donatore, il sangue viene centrifugato per separare le cellule e ottenere così il plasma, che rappresenta la parte liquida del sangue e ha un caratteristico colore giallognolo. La tecnica viene definita plasmaferesi ed è nota da molti anni e si è rivelata efficace per il trattamento della rabbia, dell’epatite A, dell’epatite B ma non ha funzionato con l’epatite C e neanche con l’HIV.
Il plasma contiene acqua, proteine, nutrienti, ormoni e anticorpi che sono la parte importante ai fini di una terapia anti Covid-19. L’utilizzo del plasma come cura non è assimilabile a una semplice trasfusione, poiché il plasma deve essere trattato per poter essere utilizzato nei malati (qui per approfondimenti). E’ necessario infatti che il donatore di plasma sia guarito da Covid-19 e sia stato sottoposto ad almeno due tamponi che abbiano certificato la guarigione.
Inoltre, il plasma non è privo di rischi, infatti si deve verificare che non ci siano altri agenti infettivi come epatite A, B, C, HIV, Parvovirus B-19, test che hanno un costo. Solo dopo questi controlli e aver verificato che ci sia una quantità sufficiente di anticorpi neutralizzanti (quelli utili per la risposta immunitaria), si può somministrare il plasma trattato al paziente e definito plasma iperimmune. Dobbiamo anche sottolineare che il trattamento con il plasma non protegge per sempre chi lo riceve, poiché non stimola la produzione di anticorpi ma li fornisce e quindi questi anticorpi si esauriranno.
Quindi, il trattamento con plasma iperimmune, non è gratuito e neanche esente da rischi, la sua efficacia è stata provata in alcuni ospedali anche in Italia (Pavia e Mantova) ma deve essere confermata da studi scientifici rigorosi e su un numero di pazienti adeguato.
Poiché, per il trattamento dei pazienti servono tanti donatori e non tutti gli ex malati Covid-19 hanno un numero di anticorpi neutralizzanti sufficiente, i ricercatori stanno studiando la possibilità di produrre immunoglobuline, ovvero anticorpi terapeutici. Questi studi sono rivolti verso la produzione di un siero artificiale che contenga gli anticorpi umani diretti verso la proteina spike presente sulla superficie di SARS-CoV-2. Il vantaggio sarebbe un processo standardizzato di produzione del trattamento, in quantità sufficiente per tutti i malati e a costi ragionevoli.
Inibitori dell’infiammazione
E’ oramai assodato che il SARS-CoV-2, oltre alla capacità di sviluppare una polmonite interstiziale, è in grado di provocare una alterata risposta infiammatoria che in alcuni pazienti determina una tempesta di citochine che causa un così detto danno sistemico, ovvero a carico di molti organi (qui per approfondimenti).
Grazie agli studi condotti all’Istituto Pascale di Napoli, è stata autorizzata la sperimentazione dall’AIFA del Tocilizumab, un farmaco anti-artrite. Il Tocilizumab viene utilizzato nei pazienti oncologici per contrastare gli effetti delle immunoterapie, come l’eccessiva produzione di citochine, esattamente quanto succede nei pazienti Covid-19 nello stadio grave. L’infiammazione a livello degli alveoli polmonari rende difficoltoso lo scambio dei gas, il Tocilizumab riduce l’infiammazione e quindi migliora la respirazione. Questo farmaco, così come farmaci simili non agisce quindi sul virus ma sugli effetti che conseguono all’infezione.
Anticoagulanti
Come già detto, l’alterata risposta infiammatoria del paziente Covid-19 è alla base della tempesta di citochine e conseguentemente alla possibilità della formazione di trombi, ovvero coaguli che ostruiscono il passaggio di sangue (qui per approfondimenti) e possono causare il decesso del paziente. Per questo motivo e grazie agli studi scientifici preliminari, l’AIFA ha inserito le eparine a basso peso molecolare fra i farmaci utilizzabili nel trattamento dei pazienti Covid-19.
Le eparine a basso peso molecolare, vengono già utilizzate nella profilassi del tromboembolismo venoso post chirurgico e anche nel tromboembolismo venoso in pazienti affetti da patologie acute come l’insufficienza cardiaca e respiratoria.
Nei malati Covid-19, l’eparina a basso peso molecolare viene ora somministrata sotto stretto controllo medico perché può portare a emorragia ma può essere somministrata nella fase iniziale della malattia come profilassi del tromboembolismo venoso dovuto all’allettamento. O anche nella fase più avanzata per contenere i fenomeni trombotici che si possono originare dal circolo polmonare come conseguenza dell’eccessiva infiammazione.
Terapie di supporto
Le terapie di supporto sono terapie non farmacologiche come l’ossigenoterapia, la ventilazione a pressione positiva non invasiva, la ventilazione meccanica mediante intubazione. In casi estremi, il medico può decidere per una circolazione del sangue extracorporea (extra corporeal membrane oxygenation (ECMO) che consiste nel sostituire l’azione polmonare con una macchina esterna che aumenta l’ossigenazione del sangue.
Quanto siamo vicini a un vaccino?
In conclusione, molti passi avanti sono stati fatti da quando abbiamo incontrato per la prima volta SARS-CoV-2 ma ancora molta strada deve essere percorsa per comprendere a pieno la biologia del virus e poter sviluppare farmaci efficaci ed eventualmente un vaccino.
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