La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) è un tumore del sangue che colpisce ogni anno circa 400 bambini e adolescenti. Un tumore che cambia la vita non solo ai bambini che ne vengono colpiti ma anche alle loro famiglie.
Ne parliamo con il dottor GIUSEPPE GAIPA, direttore del Laboratorio di Terapia Cellulare e Genica “Stefano Verri” Asst Monza, Ospedale San Gerardo e ricercatore presso la Fondazione Tettamanti.
Il Dottor Gaipa è laureato in Biologia all’Università Statale di Milano, conseguendo poi il dottorato in oncoematologia sperimentale. Dal 1995 lavora presso il centro ricerca Tettamanti di Monza, specializzato nello studio della leucemia nel bambino.
Le cellule CARCIK sono cellule T con una naturale propensione a combattere il tumore, con una elevatissima tolleranza nei confronti dei tessuti sani. .
Dottor Gaipa, recentemente è stato pubblicato un articolo su una nuova terapia per la Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) su “The Journal of Clinical Investigation” nel quale lei ha dato un forte contributo, ci spiega di cosa si tratta?
Si tratta di uno studio di fase I/II che ha come obiettivo di testare la sicurezza, qualche aspetto di efficacia e la dose massima tollerata di un farmaco di terapia avanzata. In questo caso una cellula CAR (Chimeric Antigen Receptor) (qui per approfondimenti sulle cellule CAR) che viene utilizzata per la immunoterapia.
I pazienti che abbiamo trattato sono malati di LLA precursori B (la malattia origina da un clone di linfociti B) che hanno già subito un percorso terapeutico, incluso un trapianto di midollo osseo, che però non ha dato esito positivo, si dice che hanno subito una recidiva.
Perché è importante studiare e trovare una cura per la LLA?
In ambito pediatrico, oggi la LLA colpisce circa 400 bambini ogni anno in Italia, alla Fondazione Tettamanti ne vengono trattati circa 60 all’anno. La LLA viene trattata con protocolli di chemioterapia e ultimo laddove necessario con il trapianto. Purtroppo circa il 15% dei bambini malati recidivano e in questo caso la malattia diventa molto aggressiva . Il nostro lavoro è indirizzato verso lo sviluppo di nuovi trattamenti più efficaci e meno tossici da integrare con quelli attualmente in uso, con l’ambizioso obiettivo finale di raggiungere il 100% di cura.
In cosa si differenziano le cellule CARCIK dalle cellule CAR-T?
Ci sono vari vantaggi. Proviamo ad elencarli nei punti più importanti:
- Le cellule CAR-T sono cellule ingegnerizzate ricavate da linfociti T prelevati dal paziente (qui per approfondimenti) attraverso una leucocitoferesi. Nel nostro caso invece, siamo partiti da linfociti del donatore di midollo osseo, si parla quindi di fonte allogenica. In caso di recidiva, chiediamo al donatore di farci una semplice donazione di soli 50 millilitri di sangue periferico e ingegnerizziamo queste cellule per produrre le CARCIK da iniettare nel paziente malato.
- Le cellule CARCIK sono cellule T con una naturale propensione a combattere il tumore ma anche una elevatissima tolleranza nei confronti dei tessuti sani. Queste caratteristiche insieme le identificano come un ottimo candidato per la immunoterapia.
- Per ingegnerizzare le CARCIK non utilizziamo vettori retrovirali o lentivirali come succede nelle CAR-T, ma piuttosto delle molecole che si chiamano trasposoni che introducono la sequenza del CAR mediante elettroporazione (permeabilizzazione della membrana cellulare mediante impulsi elettrici) nella cellula CIK. L’introduzione è casuale ma molto sicura come dimostrano i test di sicurezza condotti durante lo studio e come richiesto dall’organo regolatorio che deve autorizzare il proseguo della sperimentazione fino alla messa in commercio del farmaco.
- Partendo da sangue periferico, il reperimento dei linfociti è molto più semplice e fattibile rispetto alla leucocitoferesi richiesta dalla tecnica tradizionale CAR-T. Inoltre, le CARCIK vengono preparate direttamente da noi nella cell factory: il Laboratorio di Terapia Cellulare e Genica “Stefano Verri”, che è accreditato dall’AIFA.
- Le cellule CAR-T attualmente possono essere utilizzate su malati di leucemia in un range di età dalla prima infanzia fino a 25 anni a causa della tossicità del trattamento oltre questa età. CARCIK può essere invece utilizzata anche su pazienti ben oltre i 25 anni.
E’ importante puntualizzare che il progetto CARCIK è nato circa 10 anni fa coordinato fin dal principio dal Prof. Biondi che ha avuto l’intuizione del progetto e sul quale hanno attivamente contribuito molti di noi ed in particolare la dott.ssa Chiara Magnani, il prof. Ettore Biagi. In questi dieci anni è inoltre è stato fatto un grosso lavoro di trasferimento dalla ricerca di laboratorio alla cell factory affinchè le CARCIK diventassero un farmaco di terapia genica.
Recentemente è stato lanciato il “Progetto Plagencell”. Qual è il ruolo della Fondazione Tettamanti in questo progetto?
Il progetto Plagencell ha tra i suoi obiettivi quello di collegare cinque cell factories della Lombardia: il laboratorio di terapia cellulare e genica “Stefano Verri”-ASST Monza con la Fondazione Tettamanti; il laboratorio di terapie cellulari ‘G. Lanzani’ dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo; la cell factory della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia; la cell factory della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; la cell factory dell’Istituto Neurologico Besta di Milano. Partner del progetto è anche l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Tutte queste strutture metteranno in comune competenze e conoscenze per sviluppare terapie cellulari e geniche contro malattie devastanti, come malattie oncologiche, renali e neurodegenerative. Il progetto si svilupperà nell’arco di tre anni, finanziato da un bando istituito dalla Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica (FRRB) della Regione Lombardia e la parte di oncoematologia verrà coordinata dall’Ospedale San Gerardo di Monza, che ha incaricato il sottoscritto e il professor Biondi di coordinarne le attività.
Qualè lo scopo di questo progetto?
All’interno del progetto di oncoematologia il nostro obiettivo sarà di allargare la disponibilità delle cellule CARCIK utilizzando una fonte nuova di linfociti, ovvero partendo dal sangue del cordone ombelicale invece che dal solo sangue periferico. Il grande vantaggio risiede nel fatto che il sangue da cordone ombelicale è depositato in banche pubbliche come la banca del Policlinico di Milano. Inoltre, i linfociti T contenuti nel sangue cordonale sono meno immunogenici, ovvero ci sono meno rischi di rigetto e si possono cosi trattare più pazienti perché il grado di compatibilità donatore-ricevente aumenta di molto. Il vantaggio ulteriore sta nel fatto che la preparazione delle cellule CARCIK può essere fatto in anticipo e di conseguenza si guadagna tempo nel trattamento del paziente leucemico che spesso non può permettersi di attendere molto tempo.
La produzione di CARCIK da sangue da cordone ombelicale dovrà poi andare incontro a tutti gli studi di validazione pre-clinica, se ne occuperà in particolare la nostra collega Sarah Tettamanti, e clinica come abbiamo già fatto in passato per le cellule CARCIK da sangue periferico, per assicurare gli standard di sicurezza richiesti dall’AIFA.
Come è nata la passione per la ricerca in campo oncoematologico e quali difficoltà incontra nel suo lavoro quotidiano?
La passione per la ricerca l’ho avuta fin dall’inizio dei miei studi ed è stata incoraggiata da alcuni insegnanti che hanno fatto la differenza perché oltre alle nozioni trasmettevano la fascinazione della domanda e della complessità della natura. Il caso poi ha voluto che incontrassi l’oncoematologia dalla quale non mi sono più allontanato.
Difficoltà ce ne sono ma cerco di superarle con la consapevolezza che non sono solo. Dietro la porta del laboratorio so che ci sono giovani ricercatori che stanno vivendo le mie stesse difficoltà e come responsabile di una unità del laboratorio ho il dovere di dare supporto, indicazioni e incoraggiamento. Questo è molto importante perché nel lavoro di ricerca ad ogni risposta trovata si aprono sempre nuove domande.
Inoltre, entrando in laboratorio passo sempre dall’atrio del day hospital del Centro Maria Letizia Verga per incontrare lo sguardo dei bambini che sono in attesa di essere ricevuti. Incontro anche lo sguardo dei loro genitori che stanno vivendo una esperienza che io non ho vissuto e che posso solo immaginare essendo papà di due ragazzi. Sguardi carichi di incertezze, paura ma anche speranza. Questo mi motiva moltissimo a fare al meglio il mio lavoro.
Cosa direbbe a un giovane che volesse intraprendere una carriera nella ricerca scientifica?
Oggi intraprendere la ricerca di ricercatore è forse più difficile, perché lo scenario è più competitivo. Un giovane deve avere un grande entusiasmo, determinazione, curiosità e ambizione di raggiungere degli obiettivi. Fare una esperienza all’estero è fondamentale per avere maggiore apertura mentale e culturale sempre con la speranza di poter rientrare in Italia e contribuire allo sviluppo nel proprio paese della ricerca scientifica, che io considero è un requisito anche per il progresso sociale e culturale.
Nel ringraziare il dottor Gaipa vorremmo concludere dicendo che i trattamenti e le cure, come in questo caso per la LLA, non nascono per caso e tantomeno si realizzano in poco tempo. Sono frutto di anni di studio, lavoro, tentativi, errori e soprattutto di una visione di qualcuno che davanti a una lavagna vuota vede una strada che altri non vedono e comincia a tracciarla ed è sostenuto da validi collaboratori che lavorano in team tutti verso lo stesso obiettivo.
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