Le mutazioni nel gene FNP1 causano la morte prematura dei linfociti B abbassando le nostre difese immunitarie. Tuttavia, questa scoperta potrebbe essere utilizzata come arma contro le malattie autoimmuni e contro i tumori del sangue. Come è possibile?

Ce lo spiega il dott. Francesco Saettino, medico presso l’ambulatorio di Immunologia al Centro Maria Letizia Verga.
Il dott. Saettino dopo la laurea in psicologia, si laurea anche in medicina e si specializza in pediatria a Milano Bicocca nell’ambito dell’ematologia non oncologica. Prima di cominciare a lavorare nel Centro Maria Letizia Verga, ha trascorso un periodo di studio nel Great Ormond Street Hospital di Londra, un centro di riferimento per le immunodeficienze.
Dott. Saettino, come è nato il suo interesse per le immunodeficienze?
E’ nato dal contatto con pazienti principalmente ematologici che però avevano anche alterazioni immunologiche e per i quali mancava una diagnosi precisa. Possono essere definiti in gergo pazienti orfani di diagnosi. Ho così cominciato a interessarmi a questa area a cavallo tra l’immunodeficienza e l’ematologia.
Da dove nasce lo studio che ha portato all’individuazione delle mutazioni sul gene FNP1?
Quando ero in specialità. Un paziente con sospetto di malattia metabolica aveva anche una neutropenia, oltre a una cardiomiopatia ipertrofica. Studiando questo paziente, ci siamo accorti che era affetto anche da agammaglobulinemia, ovvero una assenza di linfociti B e di immunoglobuline che sono fondamentali per la nostra risposta immunitaria.
Poiché tutte le indagini precedenti erano state negative e non avevano quindi rilevato l’agammaglobulinemia, ho provato a dare una risposta a questa mancata diagnosi.
La cosa ulteriormente interessante e che ci ha spinto a indagare più a fondo, è stata che la correlazione tra le varianti sul gene FNP1 e l’agammaglobulinemia, era già stata osservata in modelli animali, in particolare nei topi ma non ancora nell’uomo.
A questo punto mi sono messo in contatto con l’Università di Leiden dove avevano studiato due dei quattro geni noti per questa immunodeficienza molto rara e che correlava con il quadro clinico che avevamo osservato noi. Gli abbiamo mandato dei campioni del paziente che sono stati indagati geneticamente ed è stata riscontrata un’alterazione a carico di FNP1. In contemporanea, mi sono messo in contatto con altri centri che avevano pazienti con lo stesso quadro clinico (Baylor College of Medicine di Houston e il Dipartimento di Genetica Umana della Emory University di Atlanta) e che, una volta sequenziati, hanno mostrato delle varianti nel gene FNP1.
Quanto è invalidante la patologia che state studiando?
Ha diversi livelli di gravità. Certamente l’agammaglobulinemia espone a rischi infettivi alti e insieme alla neutropenia può essere letale. Nello nostro studio pubblicato su Blood sono descritti casi di bambini ma anche di giovani adulti, a dimostrazione del fatto che la sopravvivenza dipende dalla gravità della malattia e probabilmente dall’insieme delle varianti.
Non possiamo escludere che allargando lo studio si possano trovare pazienti con un quadro clinico simile ma con sintomi meno gravi a livello immunologico e con aspettativa di vita più alta.
Quali saranno i passi successivi?
Essendo una patologia rara, sarà necessario individuare altri pazienti con lo stesso quadro clinico e poi caratterizzare meglio il funzionamento della proteina espressa da FNP1 nei linfociti B e neutrofili. Nei pazienti con agammaglobulinemia, il gene FNP1 è spento, ovvero non esprime la sua proteina, di conseguenza il gene è importante e soprattutto non si conoscono le interazioni che questo gene e la sua proteina hanno con altri geni.
Il nostro obiettivo ora è di studiare l’effetto di FNP1 nel metabolismo e la differenziazione dei linfociti B e anche di studiare la neutropenia variabile nell’uomo. Inoltre, poiché il quadro clinico di questi pazienti mostra anche una forma di cardiomiopatia, vorremo studiare anche i cardiomiociti e come l’attivazione di FNP1 influenzi la loro funzione.
Nel futuro, la conoscenza dei meccanismi di attivazione e spegnimento di FNP1, potrebbe essere utilizzata per sviluppare nuovi approcci terapeutici contro quelle patologie, come i tumori del sangue, in cui i linfociti hanno un metabolismo molto accelerato e si riproducono velocemente. Si potrebbe pensare, intervenendo sul gene FNP1 come un freno, di rallentare sempre più l’attività dei linfociti B per rallentare o arrestare il decorso della malattia.
In conclusione, un difetto genetico che in alcuni pazienti è invalidante e potenzialmente letale, potrebbe essere utilizzato come approccio terapeutico nei casi di tumori del sangue.